Omelia del Card. Edoardo Menichelli Celebrazione Eucaristica in San Giovanni Laterano in occasione dell’80.mo dell’Associazione Medici Cattolici Italiani

Carissimi medici, ricordiamo oggi in questa celebrazione Eucaristica una storia e rendiamo grazie a Dio per il bene fatto rinnovando la volontà di servire la vita, di curare le sue ferite fisiche, di riconoscerne la sacralità e di evangelizzare la sua “indisponibilità” a qualsiasi potere che voglia o pretenda di dominarla e usarla.

La storia, vissuta dentro cambiamenti sociali e culturali veloci, ci chiama a trovare una nuova “samaritanità” che, sempre fedele alla parabola evangelica risponda, ci aiuti a rispondere, a quanto il nostro tempo propone e a come curare e consolare la persona malata.

Abbiamo ascoltato due brani della Parola di Dio: la prima lettura è tratta dalla lettera di San Giacomo Apostolo (cap.5 vv.13-20) e ci invita a pregare per chi è nel dolore e a chiamare i presbiteri perché “ungano con olio nel nome del Signore” il malato. Il brano del Vangelo è preso da Marco (cap.10 vv.13-16) e ci racconta Gesù che accoglie i bambini e sollecita gli Apostoli a lasciarli andare verso di Lui.

Cerchiamo insieme, meditando questi brani della Parola di Dio appena proclamata, ciò che può essere utile alla modalità identitaria della nostra Associazione, all’esercizio ministeriale della professione medica e alla personale crescita della fede che l’essere membro della stessa Associazione richiede.

  1. Innanzitutto l’esempio e il rimprovero di Gesù nei confronti dei discepoli che impediscono ai bambini di avvicinarlo. Qui c’è il grande tema che affligge la vostra missione di cura e che sta, come spesso sottolineate, disumanizzando l’arte medica. Qui c’è il grande tema della vicinanza.

Ogni persona è l’amore di Dio fatto carne; è visibilità di Dio. La vita, di cui godiamo, è toccabile nella carne. Anche Dio – in Gesù – si è fatto toccare e ciò traduce vicinanza e premura e identificazione con Lui (“l’avete fatto a me”! così ci dice nel cap.25 di San Matteo). Qui carissimi c’è il tema della vicinanza umana che veicola una medicina spirituale utile all’anima e che deve caratterizzare la cura medica temperando le solitudini che abitano la persona malata.

Siamo dentro una storia della fretta, delle relazioni deboli, della molteplicità degli impegni e ora anche – seppur utile – siamo nel tempo della intelligenza artificiale che non ha relazioni né tantomeno consolanti.

Più di una volta vi ho sentito parlare di una volontà e di una necessità: umanizzare la medicina e, per conseguenza, anche la cura. Mi sembra che l’esempio di Gesù costituisca un atteggiamento da inserire nell’esercizio della vostra professione al fine di costruire una relazione totale con la persona malata, corpo e anima, carne e spirito.

  1. San Giacomo, sempre nel brano che abbiamo ascoltato, parla della “preghiera fervorosa del giusto”, preghiera che l’Apostolo definisce “molto potente”.

Qui possiamo trovare un altro aspetto necessario nella professione-formazione del medico: il pregare. Senza volerlo, si può cadere nella tentazione della “onnipotenza” della cura. In realtà, e ne fate esperienza quotidiana, vi trovate spesso nella oggettiva situazione che, pur toccando e curando la carne ferita e sofferente, sperimentate che nella vita abita “un mistero” che sfugge alle analisi scientifiche: il mistero attende e richiede un’altra analisi. Qui la preghiera aiuta a mettersi con umiltà e verità davanti all’incommensurabile. Abbiate il coraggio di accogliere l’illuminazione che la fede ci fa chiedere e attendere da Dio. Spesso la preghiera è un atto “di giustizia” che la nostra limitatezza ci fa richiedere. La preghiera completa la vostra preparazione e dona serenità, come avviene anche nel mio ministero.

  1. Sempre il brano della lettera di San Giacomo ci sollecita un altro aspetto che sta nel ministero curativo del medico credente.

L’Apostolo ci colloca nella situazione della persona malata (non dice malato gravemente o meno!): dice, malata. Suggerisce anche di coinvolgere il presbitero, che preghi e unga con l’olio del Signore. La persona malata troverà sollievo.

L’Apostolo apre la strada alla “samaritanità redentiva e misericordiosa” (la chiamiamo “salvezza”!), all’accompagnamento delicato e spirituale, di fronte al dolore, alla lentezza della guarigione e alla morte. L’Apostolo apre anche alla responsabilità della comunità che è vicina, nella modalità possibile, al dramma della morte, che noi oggi traduciamo sbrigativamente con “non c’è più niente da fare”.

C’è sempre qualcosa da fare, invece, nei confronti della persona malata. Qui, voi medici avete l’occasione per inserire nella professione un delicato invito di rivolgersi, anche insieme, a Dio e di affidarsi a Dio.

Ringrazio Dio per avermi fatto incontrare medici con i quali ci siamo aiutati con ottimi risultati a dare conforto, speranza, serenità a malati definiti gravi.

Immettete nella vostra formazione e testimonianza e cura la samaritanità redentiva e misericordiosa.

Con la mia preghiera per voi tutti.