Intelligenza artificiale: l’umano ignorato

FILIPPO M.BOSCIA* – Mutamenti culturali e società incidono in modo determinante sulla professione del medico, la tecnologia facilita in modo straordinario le procedure di diagnosi e terapia risolvendo problemi dapprima non risolvibili.

Nella grande rivoluzione della medicina l’umanizzazione ha perso terreno su vari fronti l’umano è ignorato. L’umano è così tanto dimenticato da rendere necessario il richiamo a riumanizzare la Medicina, scienza altamente tecnologica, ma al contempo altamente spersonalizzata. E’ critica la divaricazione tra le finalità di un Sistema Sanitario economicistico e aziendalistico e quelle della Medicina, che pretende di non ignorare il concetto di umano.

La crisi del “metodo clinico” è sotto gli occhi di tutti!

Oscurata e dimenticata è la visione unitaria del malato. L’empatia dapprima valore essenziale, oggi sembra essere un valore trascurato. Il medico come figura di riferimento è in crisi e non ha più una funzione di accompagnamento morale e spirituale e con l’aziendalizzazione della medicina ha perso autonomia e canoni di beneficialità.

Questo è il concetto di umano ignorato!

Ma come dice un antico detto: “Sbagliando si impara!”.

Allora dobbiamo ripartire dall’apprendimento dell’errore e chiederci se con l’IA e con le innovazioni tecnologiche possiamo evitare di cadere nel paradosso dell’errore.

Qualcuno mi ha insegnato che per raggiungere posti sconosciuti bisogna percorrere strade sconosciute, anche se possono essere sbagliate!

L’importante è sempre e comunque essere capaci di apprendere dall’errore, con molta umiltà, ma quel qualcuno dovrà ricordarsi di non delegare esclusivamente il da fare solo ai programmi informatici, alla tecnologia per immagini, agli esami strumentali, agli algoritmi o alle linee guida, strumenti pur utili per la professione ma fortemente alterativi di quel rapporto interpersonale medico-paziente, che oggi è completamente fratturato e del quale si chiede l’immediato ripristino a fini umanizzanti. E’ proprio su questi punti che va ridiscussa quella Medicina frettolosa, del tempo minimo, della “sveglia al collo” della catena di montaggio aziendalistica, oggi divenuta un “mantra”.

Su queste fondamentali inappropriatezze, errori madornali, va ridiscusso l’apprendimento dell’errore per continuare a non sbagliare. Se riaffermiamo in Medicina l’essenziale e insostituibile umanesimo, allora e solo allora, le scienze mediche potranno beneficiarsi dei sistemi di I.A. di digitalizzazione, di innovazione tecnologica.

Appare del tutto chiaro che l’intelligenza artificiale può dare alla nostra vita un apporto positivo e dovremmo quindi cercare di inseguire l’innovazione e considerarla, non strumento antagonista, ma come strumento amplificatore e facilitatore.

E’ proprio opportuno oggi affrontare tutti i quesiti sull’umanesimo in una società digitale e riflettere su tutti i campi della Medicina, in cui l’utilità dei sistemi appare stratosferica. Gli algoritmi con l’intelligenza artificiale danno più rapide risposte rispetto a quelle umane.

Un importante campo è quello della epidemiologia.

In epidemiologia l’I.A. funziona benissimo, nelle ricerche bibliografiche altrettanto, nell’assemblare i dati di soft marker, nel delicato campo della prevenzione.

L’I.A. ci offre la capacità di esaminare, con approccio induttivo, un’enorme mole di dati, fornendo correlazioni di aiuto, informazioni significative, a costi inferiori.

Da questo punto di vista non v’è proprio alcun dubbio: è tecnologia buona, fa cose al nostro posto, con maggiore precisione e migliore capacità di analisi.

La ricerca vada avanti e non si fermi mai… è giusta, è utile, è indispensabile.

Il secondo campo è la diagnostica per immagini. In questo campo gli algoritmi prodotti sono eccellenti. Un esempio di grande potenzialità sinergica è fornito dall’algoritmo Lyna, utilizzato per le biopsie dei linfonodi metastatici nei tumori mammari. Anche l’algoritmo Sybil è uno strumento di intelligenza artificiale per la valutazione del rischio di cancro ai polmoni sviluppato da ricercatori del MIT.

Questo algoritmo, che si chiama come le Sibille dell’antica Grecia, figure femminili che trasmettevano la conoscenza divina del futuro, è in grado di analizzare le immagini della TAC polmonare a bassa dose prevedendo (con anticipo anche di anni) la localizzazione specifica ove andrà ad incastonarsi il tumore.

Questi due algoritmi ci incoraggiano a ridurre l’intensità dell’umano scontro tra progressisti e conservatori e soprattutto a mitigare le paure sull’uso delle tecnologie avanzate e tutti gli allarmi che vogliono frenare la ricerca, invocando a gran voce principi di precauzione.

Senza dubbio dovremmo pensare alla intelligenza artificiale in modo positivo. Vigilare e guidare il progresso in modo che possa essere realtà di crescita positiva per l’umanità.

Grandi sono ormai le possibilità tecnologiche offerte ai medici e anche accolte in modo entusiastico. Da parte di alcuni si sottolinea la preoccupazione che un uso incontrollato possa danneggiare la relazione con il malato.

Ritorna opportuno quindi riproporre la raccomandazione di base: Stiamo attenti a non togliere tra paziente e medico i canali diretti di comunicazione e di alleanza. La possibilità di provare reciproci sentimenti di compassione e di sostegno sono insostituibili mezzi per superare la crisi umana connessa alla malattia, ma anche nei casi gravi ad affrontare la prospettiva della morte.

Ribadiamo l’importanza dell’umanità e della umanizzazione in Medicina e che questi canoni si armonizzino in positivo con la tecnologia. A me pare che se il medico, si libera grazie all’intelligenza artificiale di una parte importante del suo lavoro burocratico, amministrativo e gestionale, nei percorsi diagnostico-terapeutici, troverà più tempo per la relazione colloquiale con il malato.

Questo è il senso dello “Sviluppo umano integrale”, fortemente voluto da Papa Francesco, che ci impone di trovare cooperazione e integrazione sapiente, che eviti la bulimia dei mezzi informatici o al contrario l’anoressia dei fini.

Un terzo campo è quello della robotica: Il robot aiuta la precisione, la micromanipolazione, il rispetto di talune strutture delicate, il robot nervespering per esempio favorisce l’ingrandimento e la salvaguardia anche dei piccoli rami sensitivi, migliora la radicalità, sicchè il robot diventa strumento, a comando umano, capace di modulare la radicalità, con un criterio di mini invasività consentendo operazioni chirurgiche complesse (con approccio di visione tridimensionale e non monoplanare). Detto questo occorre precisare che difficilmente l’intelligenza artificiale potrà sostituire l’essere umano in un’operazione chirurgica complessa: la tecnologia va guidata dalla mente umana.

Difficile battere l’umano in termini di creatività: non è possibile pretendere dall’I.A. di prendere delle decisioni per rispondere a situazioni impreviste nel modo più appropriato possibile. Solo la mente umana lo può fare!

Malgrado l’accuratezza raggiunta dall’I.A. nell’assistenza sanitaria routinaria, ci sono limitazioni che la rendono inapplicabile in percorsi di cura complessi e pluridisciplinari.

All’I.A. non sono affidabili capacità empatiche; l’I.A. non può interpretare e comunicare emozioni; non può sostituire l’ideazione e l’intuizione dell’essere umano, ne può avvalersi di quelle facoltà, ampie e articolate, che conducono a scelte pro attive e vincenti.

In sintesi riemerge il ruolo dell’umano, come assolutamente indispensabile per orientare il cammino della tecnoscienza: Il dinamismo della tecnica potrà nella società 5.0 svolgersi in modo ottimale solo sotto la guida dell’umano.

Chi propone di ignorare l’umano sbaglia. Per questo provocatoriamente ho voluto dar titolo a questa mia breve riflessione “L’UMANO IGNORATO”.

La Medicina non può permettersi di ignorare l’umano abbracciando il solo tecnologicamente avanzato che da solo è disumano.

Dobbiamo stare molto attenti ad escludere dai percorsi di diagnosi e cura il massimo caposaldo della Medicina che è l’umanizzazione. L’umanizzazione va oltre la corporeità e include la spiritualità in una sintesi non fratturabile.

La Medicina è arte profondamente umana che percorre contesti umani con finalità olistiche.

Queste funzioni della Medicina non sono assolutamente sostituibili perché toccano al pari corporeità e spiritualità. Non per ideologia, ma per reale esigenza umana, queste considerazioni vanno sottolineate oggi in contesti definiti post-moderni e post-umani nei quali occorrerà lavorare per ridefinire l’umano, per ridefinire le strutture profonde del sentire comune che ci sono necessarie per ricomporre la saggia visione della nostra vita, quella che ci sta a cuore e che dovremmo custodire e promuovere.

Noi medici dovremmo stare attenti acchè la clinica non sia soffocata e prevaricata dalla tecnologia. Occorre abbattere l’esaltazione assoluta del tecnologico, ma anche quella autoreferenziale del “secondo me”e aprirsi a necessarie integrazioni. La Medicina del consulto apra al “Secondo noi”apra alla collegialità e si sviluppi in Medicina di precisione, in Medicina sartoriale che veda la persona al centro.

Questo è il momento più opportuno per abbattere quelle posizioni che hanno condotto alla crisi dell’umano e hanno determinato ricadute inumane, assolutamente non tollerabili: tra questi la tendenza ad ignorare l’umano e ad agire secondo filiere tecnologiche.

Abbiamo tutti da guadagnare se accanto alle positive prospettive dell’I.A. saremo capaci di promuovere competenze, impegno etico e vita morale nell’approccio al malato che includa i cinque sensi.

Sono fermamente convinto che I.A. e Chat Gpt potranno anche produrre discorsi, statistiche, report collegiali, migliori imaging, ma nulla potrà sostituire in toto il medico nel generare risposte appropriate, le migliori e le più alleate con il paziente.

Una visione della Medicina fatta di soli algoritmi è altamente disumana e disumanizzante.

* Presidente Nazionale AMCI (Medici Cattolici Italiani)