Noi siamo Chiesa. E la Chiesa che cos’è?
Il Concilio Vaticano II (LG 8) afferma che la Chiesa non è un’idea o una dottrina, ma “un’unica realtà complessa” insieme umana e divina e il fatto che la Chiesa sia anche divina è oggetto di Fede: esiste una Chiesa celeste e spirituale della quale noi fin da adesso facciamo parte, perché col Battesimo siamo figli di Dio e, grazie allo Spirito, godiamo di doni divini particolari, di carismi. Nella Chiesa l’umano e il divino sono uniti fra loro, pur rimanendo distinti, e non accade che il divino prevalga sull’umano annullandolo.
Ed infatti LG8 fa un’analogia fra la Chiesa e Cristo, in cui una vera e piena umanità e una vera e piena divinità coesistono nell’unica persona del Verbo Incarnato, che è modello teologico di questa unità data dallo Spirito Santo, inviato da Cristo dopo la sua morte e Resurrezione e sempre in essa presente e operante, modello della vita trinitaria: questa è la “dimensione misterica della Chiesa” in cui Cristo è presente “fino alla fine dei secoli”. Lo Spirito nella Chiesa non è solo principio di unità, ma anche di Verità che sì, è già stata totalmente rivelata da Cristo Gesù, ma è lo Spirito che ci porta a comprenderla meglio e a poterla approfondire nella storia dove Dio è presente parlandoci con i “ Segni dei tempi”, aiutandoci a dirigerci in modo sicuro verso la meta finale (Processione della storia). L’Ecclesiologia è quella parte della Teologia che si occupa dell’autocoscienza che la Chiesa ha avuto ed ha di se stessa, mai dimenticando la tradizione. Ma come fa la Chiesa ad autocomprendersi o ad esprimersi come realtà viva e complessa quale essa è? Ecco che ricorre ad un linguaggio con immagini costruite dall’uomo, che servono ad esprimersi in modo analogico, anche se talvolta il significato così si esaurisce in parte, esprimendone solo alcuni aspetti, influenzate sempre dalle circostanze storiche e sviluppando le precedenti della tradizione. Le definizioni concettuali d’altro canto sono chiuse in se stesse mentre le immagini portano ad una comprensione sempre aperta: certo, oltre che comprese, vanno soprattutto contemplate e vissute nella realtà viva che rappresentano e che si manifesta, continua a dirsi e non si esaurisce, ma cresce al crescere dell’interlocutore.
Già nel Vangelo troviamo due bellissime immagini di Chiesa che sottolineano lo stretto legame che c’è fra la Chiesa e Dio in Cristo: l’immagine della VITE E I TRALCI e quella del BUON PASTORE E IL GREGGE.
Ma le immagini ecclesiologiche più importanti, che hanno poi influenzato in qualche modo tutti i secoli successivi fino ai nostri giorni, sono quelle di Paolo: la prima è quella di POPOLO DI DIO. Paolo, da buon israelita, aveva forte la coscienza di far parte del popolo scelto fin dall’antichità da Dio, per realizzare il suo piano salvifico per l’umanità intera. Israele sa di appartenere a questo Dio che, attraverso le vicende storiche, si rivela progressivamente a questo popolo e lo rende cosciente di essere stato eletto per gli altri. Con questa immagine di popolo di Dio, Paolo considera dunque la Chiesa in una certa continuità storica con Israele: con essa Paolo vuole sottolineare soprattutto il compimento delle promesse e la rottura, pur nella continuità col passato, che è avvenuta con Cristo, novità assoluta. In Lui si ha una nuova alleanza e un nuovo popolo.
Un’altra immagine ecclesiologica di Paolo è quella di Chiesa CORPO DI CRISTO, di cui Cristo è il capo. Lo stretto legame che c’è fra capo e corpo indica sia l’indissolubilità esistente fra Cristo e la Chiesa, sia la distinzione fra i due: Cristo non è la Chiesa ma in essa Cristo si rende visibile e presente nel rapporto anche individuale nei e fra i credenti. Nelle sue lettere Paolo presenta il rapporto fra Cristo e la Chiesa come un rapporto di amore, usando l’immagine dell’AMORE FRA LO SPOSO E LA SPOSA.
Paolo parla anche della Chiesa usando l’immagine del TEMPIO DI DIO: ormai il tempio di Gerusalemme ha perso ogni significato, perché è solo nella Chiesa che abita lo spirito di Dio.
Le immagini di Chiesa di Popolo di Dio e di Corpo di Cristo hanno veramente influenzato tutta l’ecclesiologia successiva. Consideriamo che la Chiesa è una realtà complessa umana e divina: certamente è vero che l’immagine di popolo di Dio insiste di più sulla dimensione umana della Chiesa e che quella di Corpo di Cristo sulla dimensione divina, tuttavia è indubbio che sia l’una che l’altra contengono entrambe le dimensioni. La Chiesa dei Padri (4°-6°sec.) non è più perseguitata ed è libera di camminare nella storia spinta anche da un fortissimo desiderio di rivelarsi concretamente al mondo. I Padri esprimono questa loro autocoscienza ecclesiale con moltissime immagini che essi traggono dalla Bibbia e anche dalla mitologia classica.
La prima è quella di una NAVE CHE STA NAVIGANDO: la nave simboleggia la Chiesa e il mare è il mondo ove ci sono gli scogli, cioè le insidie del male; il timoniere è Cristo e l’aiuto timoniere è il vescovo mentre i marinai sono i presbiteri; l’albero della nave simboleggia la croce e la scala per accedervi è la Passione di Cristo; la vela bianca è lo Spirito Santo e i due timoni sono l’antico e il nuovo testamento. Questa immagine molto dettagliata mira a dare simbolicamente una conoscenza il più possibile completa dei contenuti della fede e della vita ecclesiale.
L’altra immagine ecclesiale dei Padri, è quella della LUNA E IL SOLE, tratta dalla mitologia astrale dove le fasi lunari erano interpretate come una danza amorosa: Elios, il Sole e Selene, la Luna, erano due amanti che danzavano fra loro, ripetutamente avvicinandosi e allontanandosi. Selene, spinta da un impeto di amore, finiva però ogni volta con l’avvicinarsi troppo a Elio, perdendosi e morendo il lui, per poi da lui rinascere a nuovo splendore. Nella lettura che i Padri fanno di questa danza amorosa, Selene è simbolo della Chiesa, che riceve luce, cioè amore, da Elios che è Cristo e che la riflette come uno specchio sul mondo degli uomini.
Con Gregorio Magno (6° sec) il contesto storico cambia di nuovo radicalmente e con esso le immagini ecclesiologiche che volevano principalmente mettere in luce il carattere misterico della Chiesa, come rapporto intimo esistente fra Cristo e la Chiesa, per assumere un carattere sociale, politico e istituzionale: non si diventa più cristiani per scelta, ma si nasce cristiani e così il Popolo di Dio diventa “società cristiana”. Ecco quindi che l’immagine di Corpo di Cristo acquista progressivamente il significato sociologico di CORPORAZIONE, in cui ognuno ha il proprio ruolo e le proprie regole, con a capo il Papa, il cui ministero viene ora compreso sempre più come “ dominium” anziché come servizio. Si fa così strada il concetto di una Ecclesiologia di tipo giuridico e apologetico, molto attenta alla dimensione gerarchica della Chiesa e al sostegno dell’autorità papale. Non è che con questo si fosse persa l’autocoscienza ecclesiale originaria del tempo degli apostoli e dei Padri, ma l’insegnamento ufficiale delle scuole teologiche mirava principalmente a mettere in risalto l’aspetto terreno, sociale e organizzativo della Chiesa. L’eccessiva accentuazione dell’autorità papale provocò in occidente un forte contrasto fra Papa e Imperatore e una certa incomprensione fra primato romano e collegialità episcopale e fu così che all’epoca del grande scisma all’inizio del 15° secolo e la presenza di più papi, si sviluppò il movimento del Conciliarismo.
Il Conciliarismo ebbe una sua immagine di Chiesa, che si trova espressa nel decreto “Haec sancta” del Concilio di Costanza (1415). Anche il Conciliarismo considerava la Chiesa come una sorta di corporazione, ma prendeva come immagine di essa il modello sociologico delle UNIVERSITÀ. Queste nel Medioevo erano rette e rappresentate da un Consiglio, eletto dalla comunità universitaria; all’interno di questo consiglio c’era un rettore, che era sopra ogni suo singolo membro, ma non sopra il Consiglio stesso, che solo deteneva il potere legislativo. Questo modello venne applicato dal Conciliarismo alla comunità ecclesiale: il potere supremo legislativo in materia di fede e di morale apparteneva al Concilio, che riceveva la sua autorità direttamente da Cristo; il papa era solo il membro più autorevole del Concilio, ma non aveva alcun potere su di esso, anzi, era tenuto ad obbedire alle sue decisioni. Il Conciliarismo ebbe vita breve; fu infatti condannato nel 1439 dal Concilio di Firenze. Tuttavia idee ad esso affini hanno continuato ad essere presenti nella Chiesa fino a non molti anni fa, perché il problema del rapporto fra Primato romano e Collegialità episcopale e stato affrontato solo nel Concilio Vaticano I e definitivamente risolto nel Concilio Vaticano II. Fino a Lutero era considerata verità irrinunciabile e quasi scontata quella che considerava la Chiesa come un’unica realtà umana e divina, visibile e invisibile, concreta e spirituale. Lutero sconvolge nel vero senso della parola questa visione che era alla base di tutta l’ecclesiologia cattolica, affermando che esiste una vera Chiesa, ma non coincide con quella visibile.
Il Concilio di Trento ribadisce invece che c’è unità fra Chiesa visibile e Chiesa invisibile e respinge l’immagine di una Chiesa solo spirituale.
Tutta l’Ecclesiologia successiva a Trento insiste sull’unità della Chiesa e cerca di dimostrarla. Il card. Bellarmino, nel suo trattato apologetico sulla Chiesa (“De controversia”), parte proprio dalla concretezza della visibilità della Chiesa per dimostrare la dimensione divina presente in essa. Questo perché l’invisibile mi si da nel visibile; naturalmente il visibile non può contenere tutto l’invisibile, ma ne è l’espressione.
Dopo Trento l’autocoscienza ecclesiale ufficialmente continua ad essere su posizioni di carattere sociologico e istituzionale e ad insistere sugli aspetti gerarchici e sull’autorità del papa.
L’ecclesiologia diventa però anche fortemente apologetica dovendo difendere l’unità della Chiesa e dovendo dimostrare che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa, nei confronti della Riforma Protestante. Nel fare questo
sorprende però il fatto che si insista sulla dimensione visibile della Chiesa, evitando il più possibile ogni riferimento alla sua dimensione misterica, ma questo perché il parlare dello Spirito Santo o del legame esistente fra la Chiesa e Cristo poteva essere interpretato come un’implicita adesione alla visione protestante. Questa impostazione è anche favorita dal razionalismo e dalla concretezza tipici dell’Illuminismo.
L’inizio di un radicale cambiamento nell’autocoscienza ecclesiale si ha col Romanticismo, che recupera la dimensione misterica della Chiesa. L’autore più importante dell’Ecclesiologia romantica è il teologo tedesco Möhler.
Desta grande meraviglia come questo autore abbia recuperato un linguaggio e un contenuto misterico che erano scomparsi da secoli dall’Ecclesiologia ufficiale; ma è opportuno però affermare che nella vita cristiana concreta il fondamentale legame fra Cristo e la Chiesa non era mai venuto meno.
Möhler scrive due opere che cercano di esprimere in maniera teologicamente corretta come la Chiesa sia un ‘unica realtà: “L’Unità della Chiesa” e “Simbolica”. Nella prima fonda l’unità umana e divina sullo Spirito Santo; nella seconda fonda l’unità considerando la Chiesa quasi come una nuova incarnazione del Verbo.
Nell’ “Unità della Chiesa” Möhler ci dà una bellissima immagine ecclesiale della Chiesa rappresentandola come un GRANDE CORO POLIFONICO, composto da tantissime persone, aventi ciascuna una propria caratteristica voce. A capo di questo coro c’è lo Spirito Santo che educa, corregge e guida le voci in modo che in ogni istante ci sia armonia, cioè unità.
Nonostante la ricomparsa della dimensione misterica, durante tutto l’800, l’autocoscienza ecclesiale resta quella di una Chiesa che si deve difendere dagli attacchi esterni non solo dei protestanti, ma anche da quelli del pensiero moderno (Razionalismo, Materialismo, Liberalismo).
Permane quindi un ‘immagine di Chiesa di tipo sociologico, molto simile a quella medievale: la Chiesa è una SOCIETÀ PERFETTA, non nel senso che è senza peccati, ma nel senso che possiede tutti gli strumenti necessari per raggiungere il suo fine, che è la Salvezza degli uomini e in questo momento è come una città fortificata, che si trova a doversi difendere da numerose forze ostili che l’attaccano da ogni parte per distruggerla. E’interessante che nel Concilio Vaticano I, proprio al Cap.1 del primo “schema” riguardante la Chiesa, essa venga rappresentata ricorrendo all’immagine del CORPO MISTICO DI CRISTO e che solo nei capitoli successivi compaia anche l’immagine di “società perfetta”. Certamente, partendo dalla dimensione misterica della Chiesa, si cercava di ridare un fondamento biblico e più spirituale all’Ecclesiologia e di andare oltre l’Apologetica tradizionale che insisteva sugli aspetti istituzionali e sacrali e sul principio di autorità. In questo primo schema si prende in esame anche il tema del primato del Romano pontefice, non più affrontato dopo la condanna del Conciliarismo. E’vero che questo movimento non c’era più ma, in assenza di una chiara definizione, le sue idee ogni tanto ricomparivano; nell’800, ad esempio, era apparso il Gallicanesimo, che tendeva a ridurre il potere papale a favore di quello del Collegio episcopale:
questo primo schema fu bocciato dall’assemblea conciliare. I Padri con varie motivazioni non vollero che il Corpo mistico di Cristo fosse l’immagine principale per definire l’autocoscienza ecclesiale; infatti preferivano ad essa quella più concreta di società perfetta, da cui parte appunto il secondo “schema”, poi approvato.
E’ importante osservare che anche dal secondo “schema” scompare la questione del primato del romano pontefice, mentre compare il tema dell’episcopato. Ecco perché Pio IX fece approvare ed aggiungere al documento conciliare, la Costituzione “ Pastor aeternus”, che definiva sia il dogma dell’infallibilità, sia soprattutto il dogma del primato romano. Rimaneva però non definito il rapporto fra primato romano e collegialità episcopale, che sarà affrontato e risolto solo dal Consilio Vaticano II. L’autocoscienza ecclesiale che nasce dal Vaticano I, rimane dunque prevalentemente di tipo sociologico, gerarchico ed apologetico; essa manca infatti di un fondamento misterico, che metta in risalto il ruolo e l’azione di Cristo e dello Spirito Santo.
Negli anni successivi si presentano tuttavia alcune importanti prese di posizione individuali che vanno nella direzione opposta. Una di queste è quella di Leone XIII che in molte sue encicliche parla della Chiesa come di Corpo Mistico di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo vista come principio di unità e di verità e come origine dei carismi.
Intorno al 1920 inizia il cammino che porterà al Concilio Vaticano II. Si fa più forte il desiderio comunitario dei fedeli e inizia il risveglio del laicato; si ha un rinnovo degli studi biblici e patristici, che porta alla riscoperta di un’immagine ecclesiologica e scritturistica da secoli dimenticata cioè quella di POPOLO DI DIO. Dal punto di vista ecclesiologico si hanno anche differenti impostazioni teologiche riguardanti il corpo mistico di Cristo.
Su quest’ultimo aspetto è fondamentale l’Enciclica “Mistici corporis” di Pio XII. In essa viene affermato che la Chiesa è CORPO MISTICO DI CRISTO e viene ribadita come elemento fondamentale l’unità fra dimensione spirituale e dimensione visibile. Pio XII intendeva così contrastare le concezioni ecclesiologiche erronee di coloro che tendevano a ridurre la Chiesa ad una sola dimensione: la posizione razionalistica che quasi considerava la Chiesa come un semplice prodotto umano e la posizione mistica che riduceva la Chiesa al solo elemento spirituale. E’interessante osservare che in questo stesso errore rischiavano di cadere anche alcune recenti interpretazioni ecclesiologiche del Vaticano II. Questa enciclica contiene anche una dettagliata spiegazione teologica dell’immagine di Chiesa come corpo mistico di Cristo. Ad esempio, si afferma che la Chiesa è “corpo” in quanto i fedeli costituiscono una comunità indivisa, nella quale ognuno ha il suo compito e nella quale vi sono vari ministeri e vari carismi, tutti finalizzati al bene della comunità stessa. Si dice anche che la Chiesa è corpo di Cristo non perché sia una nuova incarnazione del Verbo, ma per sottolineare lo stretto legame fra i due: Cristo è fondatore della Chiesa che esiste grazie al suo sacrificio oltre che la guida verso la salvezza ed è per questo sempre presente nella sua Chiesa.
L’enciclica ci spiega anche perché a “Corpo di Cristo” è stato aggiunto l’aggettivo “mistico”, non presente in Paolo: esso serve a sottolineare che principio interno di unità di questo “corpo” è lo Spirito Santo. Si può dunque affermare che la “Mistici Corporis” rappresenta il passaggio da una visione sociologica e giuridica della Chiesa ad una visione propriamente teologica e misterica.
Nella sorprendente ricchezza della “Lumen Gentium” cioè la Costituzione della Chiesa del Concilio Vat. II, si approfondiscono e chiariscono tutte le problematiche ecclesiali precedenti; essa riscopre, dando loro nuovo impulso, le immagini di Chiesa presente nella Tradizione e ne crea anche di nuove e riesce a trattare tutta questa complessa materia in modo razionale unitario, in linea con i tempi. Il cap. 1 riguarda la sua natura misterica, mentre il cap. 2 descrive la chiesa con l’immagine di “Popolo di Dio”:
appaiono tutti gli attori coinvolti nel mistero della Chiesa e si parla del rapporto fra Cristo, la Chiesa e i popoli, vengono anche presentate alcune immagini importanti riguardanti la Chiesa come CRISTO LUCE DELLE GENTI” e il Concilio desidera ardentemente, annunciando il Vangelo, …. “illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa”.
Cristo dunque è la luce e non la Chiesa. Ma la Chiesa rappresentata dal Concilio, desidera illuminare tutti gli uomini con questa luce da lei riflessa e qui, come si vede, si ha un’implicita immagine dello specchio, che ci ricorda l’immagine della Luna dell’epoca dei Padri.
Segue un’altra immagine che chiarisce la natura e la missione della Chiesa: viene detto che “la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il SACRAMENTO, cioè il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
La Teologia Scolastica ci dice che “l’essere segno “vuol dire rimandare a qualcos’altro diverso da sé e che l’essere strumento vuol dire essere ciò attraverso cui si arriva a questo qualcos’altro. Ma la sacramentalità della Chiesa è un’analogia, cioè è un ‘immagine; infatti viene detto che la Chiesa è “in qualche modo” sacramento e non che è sacramento”, perché la Chiesa è sacramento solo nella misura in cui vive di Cristo ed è in Cristo.
Dunque la Chiesa è strumento per raggiungere quale obiettivo? La comunione con Dio e l’unità di tutto il genere umano.
LG 2-4 ci parla della Chiesa alla luce del mistero Trinitario. Fondamentale è LG8 che ci rimanda a quel concetto di Chiesa come unica realtà, umana e divina, da cui siamo partiti.
In tale numero infatti si legge che la chiesa visibile e la Chiesa spirituale non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà in cui le dimensioni umana e divina esistono entrambe unite e distinte.
Questo è reso possibile per la presenza e l’opera dello Spirito Santo, spiegata dalla potente immagine, che fa un’analogia fra Chiesa e VERBO INCARNATO: come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sacrale della Chiesa serve alla Spirito di Cristo, che la “vivifica” svolgendo la sua peculiare funzione che è quella di unire l’umano e il divino.
Questa immagine non deve tuttavia farci pensare la Chiesa quasi un incarnazione dello Spirito Santo: LG ne sottolinea il carattere misterico come realtà complessa nel suo legame con Cristo e la Trinità). LG recupera anche l’immagine paolina di POPOLO DI DIO, cioè di un popolo rinnovato da Cristo che cammina nella storia e, facendo in essa esperienza di Dio, contribuisce ad orientarla secondo il piano divino universale di salvezza. Di questo “popolo di Dio” sono evidenziati due aspetti, uno è quello di essere reso partecipe della missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, l’altro è che lo specifico suo compito è la missionarietà, che consiste nell’annunciare il Vangelo a tutti gli uomini. E’anche importante sottolineare che l’immagine di popolo di Dio viene trattata prima della struttura gerarchica della Chiesa, cioè prima di parlare dei vescovi dei presbiteri, dei diaconi e dei laici: infatti di questo popolo di Dio fanno parte con pari dignità tutti i battezzati a prescindere dai compiti specifici da loro svolti.
Questa immagine di popolo di Dio è ben diversa da quella medievale di una società gerarchicamente organizzata sotto l’autorità del Papa e sotto e leggi del diritto canonico.
Si può dunque concludere dicendo che LG ci presenta, com’è giusto che sia, più immagini di Chiesa diverse tra loro: immagini che richiamano la dimensione misterica e immagine di popolo di Dio che cammina nella storia.
Nel post Concilio questo fatto ha creato seri problemi di interpretazione ecclesiologica: ci sono alcuni che hanno accentuato la dimensione storico- concreta di Popolo di Dio, fino a giungere a posizioni estreme di tipo sociologico-democratico e ci sono altre che, partendo dalle immagini misteriche, erano arrivati a posizioni esclusivamente spirituali.
Per questo occorre ricordare che la Chiesa “è una realtà complessa”, quindi la comprensione di essa non sarà mai esaustiva, ancor meno se si prende a riferimento una sola immagine, per di più interpretata in modo riduttivo e con preconcetto.
Ritorna ancora una volta, valida per la Chiesa, l’immagine del VERBO INCARNATO, la comprensione del cui mistero rimane sempre aldilà di ogni considerazione umana e cade su posizioni eretiche quando se ne accentua la natura umana o la natura divina, anziché considerarle entrambe.
Col Verbo Incarnato la Chiesa diventa CHIESA COMUNIONE
Maria Nincheri Kunz
Vicepresidente nazionale Centro AMCI